L'aria fredda di un inverno che sembra si sia svegliato troppo tardi ha richiuso la porta che avevo lasciato aperta apposta con la speranza di vedermi ritornare. Sì, io che non credo si essermi mai mossa da qui, dalle nostre dichiarazioni mai fatte e dalle frasi che hanno prodotto solo occasioni perdute. Vorrei riuscire a ricordare almeno il tuo nome perché potrebbe aiutarmi a ricordare come mi chiamo io. Forse quella porta l'avevo lasciata aperta per te.
Il vento ora porta lontano verso cieli guasti con sfumature di luci tutte uguali e qui c'è una mano gentile che mi stringe e non mi lascia andare. Perfetta ma mai come la vorrei io. Poi quando le ombre diventano pesanti da rovinare la leggerezza del pavimento cerco di togliermi di dosso i rumori del buio con la tua voce. Forse quella porta l'avevo lasciata aperta per me.
Ho buttato via tutto quello che non ho, tanto che adesso la stanza è vuota e inutile come un parco quando piove. Mi porterò dietro le immagini fingendo di conservarle nitide per sempre come quella sensazione di comodità che solo gli abbracci sanno dare perché i ricordi non possono essere nè di parole nè di fatti, prima o poi quelli si dimenticano. Quello che la gente non dimentica è come l'hai fatta sentire. Si spiegherebbe così il ricordo che ho di te senza averne mai vissuto uno. Forse quella porta non l'ho mai aperta.
Avrei voluto parlarti di tutte le bugie che ti ho raccontato e che tu mi dicessi che non c'è niente di male perché a volte bisogna fare qualcosa di cattivo per fare qualcosa di buono. Le bugie più belle conservale per quando sarà diventato ormai troppo presto per trovarci, perché che tu lo voglia o meno la vita che non vivi ti consuma a morsi e poi morde ancora e ancora, senza che la carne si stacchi dall'anima ma abbastanza da farla sanguinare. E io ho le cicatrici dei rimorsi proprio identiche alle tue. Forse ho lasciato le chiavi di quella porta lì da te.